A short story on the struggles of finding a house to buy in Milan, inspired by my parallel project Casa Futura, featured in a special issue of Monocle dedicated to Milan Design Week 2023.

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The elevator reaches the third floor, announced by the metallic whiff of the smell of new carpeting. The cabin’s jolt indicates the mutual awkwardness is about to end. Three turns of the key above, two below, a fix to the doormat with the tip of the shoe. The door opens and the air from inside fills my nostrils with camphor and violet. The backlit silhouette of the real estate agent hurrying down the hall suggests a few more seconds’ wait. The shutter lifts. First the flooring appears, in burgundy, black and cream hexagons, then the carpet, the table, a vase harboring a lonely flower slowly circled by two obtuse mosquitoes.

Light floods the yellowed walls and the lighter marks left by the picture frames. A Castiglioni “Splügen Bräu” hangs from the ceiling, left behind. The man opens the French window, points to a distant dot on the horizon: “You can even see the Velasca tower!”. Where the couch once was are now a beige elephant-shaped spot and a coffee table with a stack of newspapers, an old issue of Abitare, a travel chessboard, a souvenir beer mug from Munich, three nails, a crumpled receipt. In the bedroom looms a large olive-green lacquered closet, its knobs whispering in chorus, “custom-made”. The red metal bed, designed by Tobia and Afra Scarpa, waits to be taken away in a van next week by the seller’s daughter. The herringbone parquet floor creaks under the laced shoes of the real estate agent, who is illustrating a well-rehearsed choreography of irrelevant details.

The now empty shelves suggest years of books browsed in the wicker armchair on the balcony, shaded by a thick emerald green cotton curtain edged in white. The kitchen, facing south, is a triumph of yellow ceramic, with decals of several kinds of mushrooms and a blackboard on which the words “Bialetti gasket” still stand out. “Here, of course, everything needs to be remodeled,” the real estate agent announces scornfully as he opens the bathroom door onto an underwater aquarium tiled in blue and soap bubbles. Our reflection in the mirror, edged with incandescent bulbs, looks like a mismatched family photo.

The price is negotiable but “just a tiny bit”. Going down the stairs of the building, the mind returns to the apartment i visited a few days before, and the one from last week. San Siro, Città Studi, Giambellino. A new geography, sprinkled with memories of dusty interiors. A phantom Milan made of abandoned objects, names still on intercoms, dressers with portraits of strangers. Nights spent browsing online classifieds, dreaming of Gio Ponti and planning a new life in a garage. It starts raining, the shop windows glisten as the heavy drops bounce on umbrellas and the neighborhood looks like an assorted jar of candies. This is the right home.

I search my coat pocket for the agency’s business card, quickly dial the number with wet fingers, introduce myself. “I’m really sorry, but the apartment is under offer.”

L’ascensore sale verso il terzo piano portando con sé un odore di moquette sostituita da poco e ferro generico. Un sobbalzo della cabina indica che il reciproco imbarazzo sta per terminare. Tre giri di chiave sopra, due sotto, una sistemata allo zerbino con la punta della scarpa. La porta si apre e l’aria proveniente dall’interno riempie le narici di canfora e violetta. La silhouette in controluce dell’agente immobiliare che si affretta nel corridoio suggerisce di aspettare ancora qualche secondo. La tapparella si solleva.
Per primo appare il pavimento, ad esagoni bordeaux, neri e panna, poi il tappeto, il tavolo, un vaso contenente un fiore solitario attorno al quale girano due moscerini ottusi. La luce inonda le pareti ingiallite e i segni più chiari lasciati dalle cornici. Dal soffitto pende una “Splügen Bräu” di Castiglioni dimenticata. L’uomo apre la portafinestra, indica un puntino lontano all’orizzonte: “Si vede anche la torre Velasca!”.

Dove una volta c’era il divano, c’è una macchia beige a forma di pachiderma e un tavolino con sopra una pila di quotidiani, un vecchio numero di Abitare, una scacchiera da viaggio, un boccale di birra souvenir di Monaco di Baviera, tre chiodi, uno scontrino accartocciato. Nella camera da letto un grande armadio laccato verde oliva domina la stanza con i suoi pomelli che in coro sussurrano “fatto su misura”. Il letto rosso di metallo, disegnato da Tobia e Afra Scarpa, aspetta di essere portato via con un furgone la prossima settimana dalla figlia del proprietario. Il parquet a lisca di pesce scricchiola sotto le scarpe allacciate dell’agente immobiliare che in una danza recitata più volte illustra dettagli ininfluenti. Le librerie ormai vuote suggeriscono anni di libri sfogliati sulla poltrona in vimini sul balcone, ombreggiata da una tenda di cotone spesso verde smeraldo bordata di bianco. La cucina, illuminata da Sud, è un trionfo di ceramica gialla, decorata con decalcomanie di funghi di varie specie e una lavagnetta sulla quale ancora campeggia la scritta “guarnizione moka Bialetti” “Qui ovviamente è tutto da rimodernare” annuncia con tono sprezzante l’agente immobiliare mentre apre la porta del bagno su un acquario sottomarino piastrellato di azzurro e bolle di sapone. Nello specchio bordato da lampadine incandescenti ci riflettiamo in una foto di famiglia male assortita.

Il prezzo è trattabile ma “poco poco”. Scendendo le scale del palazzo, la mente ritorna all’appartamento visitato qualche giorno prima e a quello della settimana scorsa. San Siro, Città Studi, Giambellino. Una nuova geografia, puntellata dal ricordo di interni polverosi. Una Milano fantasma fatta di oggetti abbandonati, nomi sbirciati sui citofoni, ritratti di sconosciuti sui comò. Le notti passate sugli annunci online a sognare Gio Ponti e a progettare una nuova vita in un garage. Comincia a piovere, i negozi brillano tra gocce pesanti che rimbalzano sugli ombrelli e il quartiere sembra un vaso di caramelle assortite.

È lei la casa giusta. Cerco nella tasca del cappotto il biglietto da visita dell’agenzia, compongo velocemente il numero con le dita bagnate, mi presento. “Mi spiace, la casa è in trattativa.

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